sabato 28 marzo 2009

Uomini e topi

In questi giorni, causa febbre da cavallo, sono dovuto restare a casa. Ho avuto modo di guardare un po’ di tv del pomeriggio, cosa che di solito (per fortuna) non capita.

Mi sono imbattuto in Uomini e donne, su Canale 5. Mal me ne incolse. Quand’ero piccolo io, negli anni Ottanta, a quell’ora, in cui bambini e ragazzi tornano da scuola, c’erano programmi come Il mondo di Quark (con Piero Angela) su Rai Uno, Tandem (con Fabrizio Frizzi) su Rai Due, Jeans (con Fabio Fazio) su Rai Tre. Anche l’offerta di Canale 5 era più presentabile: Pomeriggio con sentimento o Il gioco delle coppie. Dalle parti del Biscione, già si faceva l’occhiolino alle vicende private degli italiani, ma con un certo garbo.

Oggi l’osservazione antropologica di esseri umani molto distanti da noi, alla quale in effetti ci aveva già abituato Quark, ci viene riproposta dal programma della De Filippi. Quello studio è infatti popolato da una strana etnia: energumeni tatuati, aspiranti divette con tacco 12 e tette strizzate in succinti abitini, volgari signore urlanti in menopausa. Penso che se questi personaggi impegnassero diversamente, magari leggendosi un libro, un decimo del tempo che usano per curare il proprio corpo, sarebbero persone migliori. Invece sembra che il solo riferimento sia il sesso: i muscoli lucidi e in tensione, le gambe maliziosamente accavallate sembrano sempre alludere a un possibile amplesso che potrebbe consumarsi di lì a pochi minuti tra tronisti e corteggianti, tra le ovazioni della platea, che vorrebbe ma non può.

Si vomitano oscenità, frasi fatte, parolacce, nei loro occhi si vede solo il compiacimento per il fatto stesso di essere lì, l’ambizione di arrivare chissà dove. Ancora peggio, i commenti beceri del pubblico, commenti che sanno di tinello, qualunquismo senza freni inibitori. In mezzo, sorridente, la De Filippi, ben consapevole della porcata che tutto questo rappresenta, ma gli ascolti stanno dalla sua parte e questo basta a riempirle il conto in banca.

La stessa sera, al telegiornale, vedo Berlusconi inaugurare il termovalorizzatore di Acerra. Penso che, in effetti, poteva riuscirci soltanto lui. Sa già cosi bene come ricavare soldi dalla spazzatura.

domenica 22 marzo 2009

Gran Torino, grandissimo film

Il film si apre con una morte americana e con la nascita di un bambino Hmong (minoranza etnica sino-vietnamita). Nella società statunitense, che invecchia e muore, i padri non riconoscono più i figli e i nipoti. Le nuove generazioni, grassocce e superficiali, appaiono senza idee, senz’anima. I musi gialli invece, tra mille contraddizioni, possono contare su una dimensione collettiva ancora cementata e, soprattutto, coltivano la speranza di un riscatto possibile.

Nel personaggio di Walt Kowalski riecheggiano in lontananza tutti i personaggi interpretati da Eastwood, come in una carrellata conclusiva per chi si sente vicino alla fine: ritroviamo, appena accennata nell’epilogo, la dimensione epica dei western di Sergio Leone, con la sigaretta in bocca e la ricerca della pistola; ritroviamo anche la tentazione della giustizia fai da te del razzista ispettore Callaghan e la noia e lo spirito paterno del manager Dunn di Million Dollar Baby. Come in Flags of Our Fathers e in Lettere da Iwo Jima, il punto di vista americano e quello asiatico trovano qui una loro sintesi definitiva, in quanto provvisoria.

Kowalski si ritrova, quasi suo malgrado, ad esercitare le funzioni di un papà putativo che, in un rapporto assai più profondo che con i figli naturali, riscopre la dimensione e il significato più profondo della vita e, quindi, della morte. Le chiacchere dei preti servono a poco: occorre agire. Agire da uomini giusti, per meritarsi finalmente quella dannata medaglia di Corea e recuperare il senso di una religiosità finalmente autentica, cristologica.

Questa volta per agire, recuperare il sogno americano e rifondare il senso di una nazione, come fanno i veri padri, la pistola non serve. La stessa Gran Torino, con la quale Starsky e Hutch inseguivano i cattivi degli anni 70, rimane chiusa in garage: simbolo toccante di un’epoca che fu e che fummo, della grandezza dell’industria automobilistica a stelle e strisce e di un immaginario collettivo che si stanno sgretolando.

La possibilità di integrarsi con i vicini da casa, che sono e saranno il resto del mondo, sta tutta nella capacità di interpretare il senso del confine. Da un lato, un confine che delimita la tua identità e che quindi consente la consapevolezza, requisito necessario per la conoscenza. Dall’altro, forte di questa coscienza identitaria, quel confine può e deve essere superato: andare oltre il giardino perché non si può restare fino alla fine sotto il patio a bere birra.

Un capolavoro denso, ricco, stratificato nei percorsi di senso possibile quanto asciutto, classico, esemplare nella narrazione. Il volto e la presenza monumentali di Eastwood riempiono lo schermo e si trova spazio anche per qualche risata, perché la vita è fatta così. Perché, nonostante tutto, il gusto del viaggio verso la frontiera di un mondo più giusto ti mette almeno un po’ di buon umore. Deve essere questo che pensa Thao, lo sguardo finalmente adulto, mentre guida la sua Gran Torino verso il futuro.

sabato 21 marzo 2009

America me senti?

"America me senti?" era la famosa battuta con cui Alberto Sordi tratteggiava, in "Un americano a Roma", il nostro atavico provincialismo e l'eterno complesso di inferiorità nei confronti degli States.

Questa settimana, Barack Obama ha deciso di essere ospite del Late Night Show di Jay Leno sulla Nbc. Per la prima volta, l'uomo più potente del pianeta si confronta direttamente con la satira, sta al gioco, parla alla "pancia"della nazione. Per farlo, non sceglie il raffinato show di Letterman, che fa molto intellighenzia East Cost, andando in onda dagli studi di New York della Cbs. Il Presidente USA sceglie il programma comico più popolare, oltre cinque milioni di telespettatori, per parlare a quella fetta di elettori più lontani da lui e per rispondere tempestivamente ai primi attacchi degli autori tv, alla ricerca di una nuova preda dopo aver sbranato (giustamente) Bush. In base alle più recenti ricerche, due americani su cinque ricevono le notizie del giorno attraverso gli spettacoli di intrattenimento. Il filtro della satira riesce così a diventare un tassello importante nella costruzione del discorso politico.

In Italia, la satira langue tra querele, censure e ridicole accuse di faziosità. A nulla servono le epifanie sanremesi di Benigni: manca completamente lo spazio per la satira quotidiana che, commentando acidamente l'attualità, contribuisca a costruire il senso comune. L'unico programma satirico quotidiano di grande ascolto è Striscia; ma sappiamo che Ricci se la prende soprattutto con maghi e fattucchiere. Quando tocca i potenti, e in particolare il padrone, la butta sulla slapstick comedy: inciampi, tic fisici, lapsus e risate registrate alla Benny Hill che, ovviamente, non si avvicinano mai a sfiorare le questioni politiche reali.

Dai tempi di Aristofane, la fantasia creativa e corrosiva della satira ha dato linfa e senso alla democrazia abituando i cittadini all'esercizio della libertà di parola e a una visione "laterale", che riesca a illuminare con nuova luce le "versioni ufficiali". Gli statunitensi hanno capito e applicano la lezione della democrazia ateniese, noi ci accaniamo al massimo su Wanna Marchi. L'America non ci sente. Ma siamo soprattutto noi a non sentire l'America.

domenica 15 marzo 2009

Sbatti il mostro in prima pagina

Gli sciatti tg nazionali e il consunto "Porta a Porta" hanno abbondantemente mostrato il video della confessione (poi ritrattata) di uno dei due rumeni per lo stupro della Caffarella. I numerosi garantisti per caso che infestano tv e giornali sdottoreggiano, insorgono, si indignano se l'indagato è un potente. In questo caso tacciono.
A volte, per capire meglio la cronaca, occorre rivolgersi alla letteratura.

"Allora nemmeno la confessione dell'imputato ha valore?"
"C'è gente che si accusa d'un delitto che non ha commesso, per costrizione, per amor materno, per cavalleria, per allucinazione, per un falso senso del dovere, per un pervertito egoismo, per pura vanità, o per cento altri motivi. La confessione è una delle prove più incerte e più traditrici: tanto è vero che la legge stessa la ripudia, a meno che essa non sia corroborata da altre prove evidenti".

"La strana morte del signor Benson", S.S. Van Dine, Gialli Mondadori, 1929, Milano.

Forse dovremmo regalare qualche Giallo Mondadori alla Questura di Roma.

sabato 14 marzo 2009

Telefono - Casa

In questi giorni, una nota compagnia telefonica è on air con la nuova offerta, che offre il 20% in più di traffico. Nello spot si ipotizza un mondo nel quale alcuni oggetti di uso quotidiano vengono “allargati” del 20%, con somma gratificazione del consumatore finale: la valigia diventa più grande per far entrare comodamente le scarpe tacco 12 di Ilary Blasi, la pizza diventa una “5 stagioni” per soddisfare gli appetiti di Gattuso e così via. Uno strepitoso frame anticipa, con visionaria lungimiranza, curiose propaggini edilizie che incrementano maldestramente le cubature di alcuni edifici.

Praticamente negli stessi giorni della messa in onda dello spot, arriva la proposta governativa: rilanciare il settore edilizio consentendo un aumento delle cubature del 20% per gli appartamenti adibiti a uso residenziale. Dalla casa delle libertà alla libertà delle case, il provvedimento accarezza le propensioni abusiviste degli italiani, confermandoli nella tutela del loro interesse domestico a scapito di quello collettivo. Il focolare si amplia, magari per vedere più comodamente la tv, mentre il paesaggio e le piazze, unica ricchezza nazionale, si possono deturpare senza tanti complimenti. Lo spazio privato, come gli interessi privati di questo Governo, ha nuovamente la meglio sullo spazio pubblico, che nessuno più ha la forza né la decenza di difendere.

Curiose coincidenze. La realtà si confonde con i reality, ex soubrette diventano ministro, adesso gli spot anticipano i decreti in un corto circuito mediatico-medianico. Viviamo un eterno presente, senza più memoria della nostra storia, senza più voglia di pensare al nostro futuro. Life is now.