domenica 16 ottobre 2011

Black out

 
Le prime pagine del Giornale e di Libero stamattina annunciano all'unisono che ieri in piazza a Roma c'era l'Italia dell'odio, oltre a far intendere che questi indignati "coccolati dalla sinistra" sono in realtà dei criminali, come le trafelate cronache di piazza S. Giovanni avrebbero dimostrato.

A parte la consueta impermeabilità ai fatti, che hanno visto sfilare 200.000 persone pacifiche a fronte di poche centinaia di teppistelli, colpisce la disinvoltura con cui i due house-organ liquidano le ragioni di una protesta globale, ignorandole e strumentalizzandole per rianimare il consenso di un governo allo sbando.


Se proprio dobbiamo ragionare di politica con le categorie della cronaca nera, facciamolo fino in fondo. Per esempio ragionando sul movente: chi sta cercando di giovarsi dell'episodio di ieri? Certamente non gli indignati che sfilavano civilmente, le cui istanze sono state oscurate, in quanto la violenza dei black bloc le ha allontanate da una simpatia generale e da una saldatura con l'opinione pubblica, come sta avvenendo in altri Paesi.


La maggioranza sta invece scandolosamente speculando sui fatti di Roma, presentandosi come l'unica soluzione politica in grado di arginare un'opposizione immatura e irresponsabile, che sfascia vetrine,
incendia auto, non rispetta la religione né la proprietà privata. Come al solito, una semplificazione coatta (in tutti i sensi) crea un calderone emotivo allergico alle distinzioni, un grande carro allegorico propagandistico.

Da cittadini dotati di senno, facciamoci allora alcune domande: perchè i teppisti, che sono arrivati con i caschi quindi erano riconoscibilissimi, non sono stati identificati e fermati prima di entrare nell'alveo del corteo?
Si è trattato, nella migliore delle ipotesi, di una gestione fallimentare dell'ordine pubblico, che ha messo a serio repentaglio l'incolumità di centinaia di migliaia di cittadini inermi. Qualcuno deve risponderne.

domenica 9 ottobre 2011

Il male minore

In questi giorni è tornato in edicola “Il Male”, di Vauro e Vincino, che hanno deciso di dare nuova vita al celebre foglio satirico che uscì tra il 1977 e il 1982. Nato negli anni dell’austerità e del movimento degli autonomi, la cui base era formata da un proletariato giovanile e intellettuale che contestava il consociativismo del Partito Comunista Italiano, la rivista si ispirava al parigino Le Canard Enchaîné, ma fu inghiottita dal riflusso e dall’apparente benessere economico dell’Italia degli anni ’80 che, almeno culturalmente, non sono ancora finiti (http://azionecatodica.blogspot.com/2009/07/cosa-restera-di-questi-anni-80.html).

L’interminabile agonia di Berlusconi rende interessante questo ritorno in edicola, quasi a suggello della fine di un ciclo durato trent’anni. Bisogna tuttavia essere consapevoli di un elemento decisivo per comprendere appieno la realtà italiana: la fine del Cavalier Patonza, che ci auguriamo comunque imminente, non coinciderà con la fine del berlusconismo. Come scrive Claudio Fava, “il dramma in questo paese non è tanto Silvio Berlusconi quanto i suoi cortigiani... ai sovrani puoi tagliare la testa … i cortigiani invece cambieranno cipria e parrucca, e ci toccherà tenerceli”.

Berlusconi è stato un termometro che, nel misurare la malattia della società italiana, ha contribuito in modo decisivo e irresponsabile a portarci verso la fase terminale; la patologia era comunque già presente, altrimenti uno come lui non si sarebbe mai potuto candidare né dominare, politicamente e culturalmente, per tutti questi lunghi e bui anni.


La fase cronica della malattia la si evince da un illustre antenato de “Il Male”: un giornale anticlericale di ispirazione socialista nato alla fine del XIX secolo che si chiamava “L’Asino”, le cui invettive satiriche risultano sorprendentemente attuali, a testimonianza del fatto che i problemi italiani sono rimasti pressoché invariati per oltre cent’anni.


Uscito nel 1892, anno del primo ministero Giolitti e della fondazione del partito socialista, “L’asino” durò fino al 1925, quando il fascismo soppresse la libertà di stampa. Il settimanale, fondato dal giornalista Guido Podrecca e dal disegnatore e caricaturista Gabriele Galantara - le cui vignette erano facilmente comprensibili anche agli analfabeti - che si firmavano con gli pseudonimi “Goliardo” e “Ratalanga”, conobbe un duraturo successo, superando le 100mila copie negli anni successivi al 1904, fatto eccezionale per l’epoca; uscì addirittura un’edizione speciale per gli emigrati italiani negli Stati Uniti.


Gli anni di Giolitti furono segnati da scandali politici e corruzione: una crisi morale e politica che illuminava la linea politica de “L’Asino”, caratterizzata da intransigenza morale e da una critica serrata delle istituzioni e della prassi di governo. Lo scandalo della Banca Romana, che coinvolse parte vastissima dell’ambiente politico e giornalistico, permise all’Asino di sferrare i suoi primi calci.


Fu tra i primi giornali a denunciare i numerosi uomini politici sovvenzionati da Bernardo Tanlongo (il governatore della Banca Romana, arrestato nel gennaio 1893). Lo scandalo, come è noto, portò alla crisi del governo Giolitti, che fu seguito da Crispi, nuovo bersaglio delle polemiche asinine, anche perché le successive indagini accertarono che le responsabilità di Giolitti nell’affare della Banca Romana furono più politiche che morali.


Altri bersagli del settimanale satirico sembrano presi dalla recente attualità: abusi, corruzione amministrativa, brutalità poliziesche, carattere classista della giustizia e subordinazione di essa al potere esecutivo. “L’Asino” subì frequenti sequestri, arresti e condanne dei suoi redattori. Nel 1896, a consolidare il contributo della stampa socialista per combattere i diversi tentativi autoritari della fine del secolo XIX, nacque l’”Avanti!”, passato quindi dalla direzione di Bissolati a quella di Lavitola. Qui non serve aggiungere altro.


Il tratto caratterizzante delle battaglie civili condotte da “L’Asino” fu un feroce anticlericalismo: il prete era dipinto negli articoli e nelle feroci caricature come lussurioso, corrotto e corruttore, sempre pronto a sfruttare l’ignoranza e la superstizione dei poveri e la cattiva coscienza dei ricchi per soddisfare le sue brame libidinose, accumulare denaro e accrescere il potere materiale della Chiesa. Tra i bersagli preferiti, lo stesso papa Sarto e il Segretario di Stato Merry del Val. Lo scopo di questa polemica era evidentemente quello di demolire l’influenza esercitata dal clero sul costume e sulla mentalità delle masse attraverso le tradizionali manifestazioni della religiosità popolare, scalzando l’influenza degli ordini religiosi nel campo educativo.


Rimase celebre, in particolare, oltre alle numerose denunce di corruzione e fatti scandalosi, la campagna condotta da “L’Asino” contro il celibato ecclesiastico, ritenuto la causa fondamentale dell’immoralità dei preti in campo sessuale. Il settimanale di Podrecca e Galantara non mancò di attaccare, spesso e volentieri, il miracolo di S. Gennaro, la Sindone di Torino, i santuari di Pompei, Loreto e Lourdes, col loro contorno di guarigioni miracolose e pellegrinaggi, e il connesso mercato di reliquie e immagini miracolose, che produceva (e produce a tutt’oggi) lauti guadagni per ordini religiosi ed enti ecclesiastici.


Basti ricordare in questa sede le fresche ma sempiterne polemiche sull'impegno dei cattolici in politica, i benefici fiscali per la Chiesa, il mancato pagamento dell’ICI per le attività turistiche e commerciali, l’otto per mille segreto, i misteri dello Ior, le sovvenzioni alle scuole cattoliche e gli scandali legati alla pedofilia per ottenere un quadro desolante sui concetti di corretta gestione delle risorse pubbliche e laicità dello Stato.


Prima delle elezioni generali del 1913, “L’asino” fu tra i primi giornali a rivelare l’accordo tra Giolitti e i cattolici, passato alla storia col nome di patto Gentiloni, come non mancò di prevedere la svolta a destra del 1914, con la formazione del ministero Salandra. Successivamente, Podrecca accentuò la sua involuzione in senso nazionalistico, iniziata al tempo dell’impresa di Tripoli, collaborando al “Popolo d’Italia” e presentandosi, nelle elezioni del 1919, nella lista fascista presentata a Milano insieme a Mussolini e Marinetti.


Galantara tenne invece in vita “L’Asino”, che continuò coraggiosamente a lottare contro il fascismo anche dopo la marcia su Roma, con le celebri caricature di Mussolini. La reazione fascista si scatenò e rese sempre più difficile la vita per il giornale, fino a costringerlo a cessare definitivamente le pubblicazioni nella primavera del 1925. Galantara, che collaborava con le sue vignette anche al giornale satirico antifascista “Il becco giallo”, fu arrestato nel 1926, rilasciato nel 1927 e visse in libertà vigilata fino al 1937. Negli ultimi anni della sua vita continuò a collaborare al giornale umoristico “Marc’Aurelio”, con vignette anonime.


Le lezioni che possiamo trarre da questa lunga disamina sono almeno tre. In primo luogo, le questioni al centro del malgoverno italiano sono sempre le stesse: corruzione atavica, malcostume diffuso, ambiguità cancerosa nei rapporti tra Stato e Chiesa, giustizia classista e inefficace. In conseguenza di ciò, i potenti che finiscono sotto la lente della satira, intransigente e moralizzatrice, reagiscono in due modi: cooptando i ribelli nelle proprie file, come fece il fascismo con Podrecca, oppure mandando le squadracce in redazione, fisicamente o metaforicamente, come fecero con Galantara, quindi costringendo a interrompere le pubblicazioni (o le trasmissioni) con la violenza.


Berlusconi, oltre a confermare pienamente modalità di malgoverno e oscurantismi storicamente consolidati, ha aggiunto una terza, magistrale lezione: disinnescare la satira sorpassandola a destra. Nonostante le lodevoli intenzioni, oggi “Il Male” non graffia perché il bersaglio delle sue catilinarie è ridicolo di per sé. Perché la torta in faccia funzioni, serve almeno un’eccellenza, una qualche forma di autorevolezza da scalfire: una condizione che il Cavalier Patonza oggi si sognerebbe. Purtroppo per lui, prestigio e stima non si possono comprare, neanche se ti chiami Berlusconi.

sabato 1 ottobre 2011

Dieci segnali che il tuo Paese è in crisi


10. L’agenzia di rating che lo valuta cambia ragione sociale. Da “Standard & Poor's” a “Poor's”.

9. Un ex igienista dentale si occupa della “questione molare”.


8. L’unico mercato liberalizzato dal governo è quello delle vacche.


7. Potrai sapere quando andare in pensione con un Gratta e Vinci.

6. Dalla maggioranza silenziosa è passato alla maggiorata silenziosa.


5. Il partito più votato anziché le primarie fa i “preliminari”.


4. Si potranno convertire le miglia Alitalia in rate del mutuo.


3. Il tuo Presidente del Consiglio parla da un cellulare peruviano.


2. Il Ministro dell’Economia e delle Finanze ritira il suo stipendio in banconote di piccolo taglio.


1. L’unica grande opera realizzata in 20 anni è un tunnel per neutrini da Ginevra al Gran Sasso.