domenica 12 dicembre 2010

Caro Mario,


Caro Mario,
proprio mentre i soliti ignoti della tv profanavano uno dei tuoi titoli più geniali, riducendolo all'inutile giochetto serale, stanco e ripetitivo, tu, come sempre, chiudevi il tuo ultimo ciak, prima dei titoli di coda. Un finale amaro e sferzante, beffardo e liberatorio, come quelli cui ci avevi abituato nei preziosi bassorilievi dell’Italia che fu (e che fummo).

Avevi immaginato così la tua lapide: “Non andò mai alle Maldive”. Infatti sei sempre rimasto qui, tra Viareggio e il rione Monti, lontano dalla facile tentazione di “andare via perché …”: ostinato e cattivo nel raccontare gli antieroi vigliacchi e scansafatiche, allergico alla retorica, quindi profondamente e autenticamente patriottico.


Le storie rappresentate oggi sulla scena non sono più corali come quelle che firmavi, popolate di primattori e comprimari che condividevano idee e tessitura: adesso il protagonista è uno solo, il suo nome in ditta campeggia solitario e autoreferenziale, le idee sembrano sparite e le gambe sulle quali dovrebbero camminare ormai atrofizzate.


Adesso che la realtà è andata oltre le tue visioni più fosche, ci lasci da soli in compagnia di quest’armata Brancaleone: hai raggiunto Alberto, Vittorio, Marcello e gli altri tuoi cari, fottutissimi amici e, visti da lassù, dobbiamo sembrarvi dei borghesi piccoli piccoli, sempre presi in quest’eterno duello, questa grande guerra, tra guardie e ladri. Mi piacerebbe considerarvi amici miei ma, inevitabilmente amaro, il finale mi ricorda, caro Mario, che tu sei tu e che noi non siamo un cazzo.