mercoledì 29 aprile 2009

Il sipario strappato

Canale 5 fa fare i bagagli al Bagaglino, causa esiguità di audience. In altri tempi, la notizia ci avrebbe rallegrato: avremmo letto la cancellazione come logica conseguenza della saturazione di un pubblico maturo, finalmente stufo dei doppi sensi triviali e delle battute pecorecce offerte da Pingitore & soci.

Non è così, per due motivi. Intanto perché, come osserva Michele Serra, il concorrente varietà vincente della Rai, fatto di bambini che cantano, è un modello talmente vecchio che farebbe sembrare “Nilla Pizzi un artista punk”. Il servizio pubblico, quindi, “vince in retromarcia”.

In secondo luogo, le corna, le barzellette e le belle donne, già patrimonio esclusivo del Salone Margherita, sono stati sdoganati, approdando in vertici internazionali, consigli dei ministri, conferenze stampa e consultazioni elettorali.

Il Bagaglino aveva una sua forza espressiva, anche se per spettatori di bocca buona, quando, in anni lontani, la politica conservava un minimo di decoro istituzionale, una compostezza almeno formale e un ossequio, se non alle regole, almeno al galateo della democrazia. Uno sberleffo innocuamente irriguardoso di Pippo Franco nei confronti di un onorevole provocava generale stupore e, quindi, interesse.

Vedere una tettona al fianco di Andreotti era discontinuità, deviazione dalla norma, scandalo. Oggi, vedere una tettona al fianco di Berlusconi potrebbe sembrare una normale sessione delle primarie del PDL per le europee.

L’originale ha superato la sua parodia, che inevitabilmente negli anni si è ingiallita fino a sbiadire del tutto. Ma quelli del Bagaglino ci avevano visto giusto: come nani sulle spalle dei giganti, ci indicarono con grande anticipo il percorso culturale che il Paese avrebbe subito. Lo capirono in pochi. Ecco perché oggi il Bagaglino, con la sua scomparsa, celebra la sua più autentica vittoria.

martedì 28 aprile 2009

La fattoria

In questo Paese di private erezioni e pubbliche elezioni, potremmo ritrovarci tra le prossime eurodeputate una preparatissima concorrente del Grande Fratello e un’autorevole Letteronza, insieme ad altre candidate completissime. La commistione carnale tra politica e spettacolo rende la selezione della classe dirigente simile a un casting per entrare nell’irreality show della politica italiana.

Il concetto di “corpo elettorale” rischia di subire una definitiva mutazione di senso, che fa a meno della metafora. Del resto, la legge per le elezioni attualmente in vigore è stata definita dal suo stesso estensore “una porcata”. Meno male: la febbre suina che allarma il resto del pianeta non sembra riguardarci. Dopo tanti anni, siamo vaccinati.

lunedì 27 aprile 2009

TG1 in camicia, informazione in mutande

L’arrivo di Gianni Riotta alla direzione del Tg1 suscitò in alcuni inguaribili romantici la speranza che l’informazione televisiva potesse finalmente voltare pagina. Era un giornalista che veniva dalla carta stampata, in teoria estraneo alle logiche lottizzatorie che imperano in Rai; proveniente da un’area culturale progressista, in teoria estraneo all’entourage dei lacchè di Arcore e del Nazareno; con numerose esperienze internazionali, in teoria estraneo al provincialismo informativo italico.

Invece. Il telegiornale è sempre lo stesso brodo di sempre, in compenso Riotta si è tolto la giacca. Condurre gli speciali in maniche di camicia fa molto giornalismo indipendente statunitense, mostrare orgogliosamente le mitiche camicie Brooks Brothers rievoca l’epopea di “Tutti gli uomini del Presidente”, quando Redford e Hoffman intepretavano i giornalisti che, con le loro inchieste, scoprirono il collegamento tra Casa Bianca e caso Watergate, costringendo alle dimissioni il presidente Nixon.

Da noi, Riotta rimane in camicia ma l’informazione resta in mutande. Ogni sera il direttore-scrittore-vincitore dei premi “Grinzane Cavour” e “E’ giornalismo”-Grande Ufficiale Riotta ha continuato a somministrare agli italiani l’eterno pastone: una girandola di dichiarazioni dei più diversi esponenti politici che, senza neanche il disturbo di una domanda, esprimono in dieci secondi la loro illuminata opinione su qualsiasi argomento possibile. Della serie: “Brevi cenni sull’universo”. Una specie di alimentazione forzata a un paziente in coma irreversibile: l’informazione.

Certe volte, la dichiarazione viene raccolta direttamente dal cameraman: il ruolo del giornalista si riduce a porgitore di microfono. Praticamente un fonico. Di fronte a una simile desolazione, il fatto di atteggiarsi a giornalista americano in bretelle è semplicemente ridicolo: significa prendere la schiuma senza afferrare la sostanza, fermarsi all’estetica (o addirittura alla cosmetica) senza cogliere l’etica.

L’ultima “innovazione” editoriale della gestione Riotta (copiata dal Tg5, che l’aveva copiata dal vecchio Tg2 di Alberto La Volpe) è una scritta in sovrimpressione che, durante i servizi, ne sintetizza il contenuto. I titolisti possono anche risparmiarsi la fatica e tenere sullo schermo sempre lo stesso avviso: “Messaggio promozionale”.

P.S. Naturalmente la sudditanza del Bob Woodward de noantri è stata subito premiata: è appena diventato direttore del Sole 24 Ore. Il valzer delle nomine diventa un gioco delle 3 carte dove le stesse facce di bronzo passano da una testata all'altra. Una specie di premio-fedeltà.

domenica 26 aprile 2009

La grande illusione

Nel corso di una puntata di “Domenica in…ginocchio”, un’innocente battuta del mago Silvan (“Ecco la mia bacchetta magica. Poi la presteremo a Berlusconi”) ha fatto sbianchettare il volto già diafano di Lorena Bianchetti. Subito dopo il numero, la stellina di quart’ordine si sente autorizzata a dissociarsi dall’innocua boutade, lanciandosi in una filippica per ricordare quanto è bravo il nostro premier e invitando tutti a un bell’applauso.

L’agghiacciante scena, oltre a dimostrare quanto si rendano ridicoli questi personaggi che non vedono al di là della loro lingua, ha un che di rivelatore. E’ una spia sintomatica del clima diffuso e opprimente di conformismo: il governo non solo non si può criticare, ma non ci si può neanche scherzare amichevolmente su. Quando si nomina Silvio, tutti sull’attenti e in riga!

La reazione della sedicente conduttrice è fuori luogo, tanto più che possiamo considerare il nostro premier un collega di Silvan: tra illusionisti si capiscono. Il ruolo della finzione, del trucco e dei trucchi nell’affermazione carismatica del nostro Capo del Governo è, infatti, fondamentale. Finte le risate nelle sue trasmissioni, finto il pubblico, finte (per definizione) le fiction, finti i capelli, finti gli scherzi, finti i processi (prima quelli di Forum, poi anche quelli veri), finte le promesse elettorali (milione di posti di lavoro, meno tasse per tutti, ponte sullo stretto etc.), vere e proprie “grandi illusioni” per masse elettorali credulone.

Un incantesimo televisivo e istituzionale, che assume i tratti di una “nuova religiosità”. Quando Striscia la Notizia se la prende con fattucchiere e ipnotizzatori di provincia, in realtà sta facendo un favore al Principale, eliminando o screditando pericolosi concorrenti. Contro la potenza di queste tendenze occultiste che ruolo può ricoprire il povero Franceschini? Al massimo il coniglio che esce dal cilindro.

Proponiamo allora di rinnovare la classe dirigente del PD: chiamiamo subito Silvan, Tony Binarelli, Alexander, il mago Forest e Casanova. Se non bastassero, aggiungiamoci David Copperfield, Houdini, Harry Potter e Mago Merlino. Mettendosi tutti insieme, forse riescono a spezzare l’incantesimo, facendo finalmente scomparire il nostro premier dietro un foulard: vista la statura, dovrebbe bastare.

sabato 25 aprile 2009

Ci hanno rubato la (parola) libertà

64 anni dopo, la parola libertà fiorisce e subito appassisce sulle bocche di chi non la frequenta, non la esercita e non la riconosce. La libertà diventa una ragione sociale, una sigla, un partito, una bandiera, un’arma retorica.

Quelli che si autocertificano liberi non riconoscono la libertà dell’individuo di decidere il proprio destino, non attuano le liberalizzazioni, non si inchinano di fronte alla libertà di espressione. Sono baciapile, monopolisti e censori, ma nessuno gli contesta la loro incoerenza, il loro opportunismo.

Nessuno li contraddice perchè anche coloro che dovrebbero sorvegliarli si abbeverano alla stessa ciotola. Sono yesman travestiti da liberi pensatori. Belpietro, Giordano, Mimun, Fede, Mulè, Liguori e molti altri: sono stipendiati (indirettamente) dal Capo del Governo. Possiamo pretendere da lorsignori esercizio di senso critico nei confronti di chi li paga profumatamente e li fa crescere professionalmente? La risposta è no.
Non sono liberi, quindi non sono credibili. Punto. Il loro lavoro, più che il mestiere di giornalista, ricorda quello di un addetto stampa. Basta chiarirsi.

L’assenza di regole viene scambiata con la libertà. Ma la libertà senza regole è anarchia. Come il ritorno dà senso al viaggio, che altrimenti sarebbe solo un infinito peregrinare, così le regole riempiono di senso la libertà, offrono la cornice entro cui muoversi. La libertà senza regole, o con regole scritte malamente, si svuota, diventa uno slogan con sfondo azzurrino e jingle di sottofondo. Ci hanno rubato la (parola) libertà. Un furto, per adesso, solo semantico.

Buon 25 aprile alle donne e agli uomini liberi (non a briganti, papponi, cornuti e lacchè)


Vent'anni di Blob: il terrore non ha forma

In cucina ogni tanto capita, non avendo ingredienti freschi, di doversi arrangiare con gli avanzi del giorno prima che, opportunamente riveduti e insaporiti, spesso sono migliori del pasto originale. In tv accade, da vent’anni, tutte le sere in Blob: frammenti di tv insipidi nella loro originaria collocazione, una volta ricontestualizzati, acquistano nuovi sapori e nuovi significati.

Trasgressivo anche nella collocazione in palinsesto, alle 20 su Rai 3, rappresenta la sfida beffarda all’informazione istituzionale, paludata, frullata e omogeneizzata di Tg1 e Tg5. Ai suoi esordi, Blob era utile per recuperare velocemente e senza farsi male gli eccessi trash della tv del giorno prima. Oggi quella funzione è esercitata, in modo più immediato e on demand, da YouTube.

Il valore di Blob rimane tuttavia intatto e risiede negli accostamenti iconoclasti e spesso geniali, controinformazione vera, fa scoprire quelle che Poincaré chiamava “connessioni impreviste”. Un impasto di immagini di origine diversa (show, tg, pubblicità, tv locali e internazionali) che accende luci su nuovi percorsi di senso, interpretazioni possibili (e attendibili) della realtà, altrimenti latenti.

Frutto di un lavoro di squadra e autenticamente democratico anche nei suoi esiti, anche in quanto privo di qualsiasi voce narrante: l’unico intervento autoriale, al di là del montaggio, è una piccola scritta in sovrimpressione in alto a sinistra dello schermo che commenta ironicamente il rullo delle immagini. Agli esordi, l’indigeribilità dei mondi raffigurati era rappresentata da vecchie pubblicità, come quella dell’Alka Seltzer firmata da Gillo Pontecorvo (“Mangiato in fretta? Mangiato troppo?”) o lo spot del digestivo Antonetto di Nicola Arigliano.

Per digerire quello che ci tocca vedere oggi, ci vorrebbe una lavanda gastrica quotidiana. La sostanza gelatinosa del film che dà il nome al programma, ripresa da un film di fantascienza degli anni ’50 di Irvin Yeaworth, è una metafora perfetta dei nostri tempi liquidi e mostruosi, nei quali la politica e lo spettacolo si sono ormai fusi e confusi in modo inestricabile in una marmellata mediatica e paranoica.

Il regista Kulešov, uno dei pionieri della scuola sovietica del montaggio, dimostrò che un piano isolato non ha nessun senso, ma lo prende invece da ciò che lo segue o lo precede. L’effetto Kulešov, che nella tv italiana trova in Blob il suo più nobile rappresentante, ha un effetto
dirompente in un panorama informativo che omette, astrae, confonde. E’ per questo che Blob incarna la vera essenza di un servizio pubblico, rimandandoci indirettamente l’immagine di un Italia, libera e creativa, come avrebbe potuto essere.

--------------------------------------------------------
Effetto Kulešov (tratto da Wikipedia)
Nel 1918 Kulešov, con l'intenzione di dimostrare le sue idee riguardo l'importanza del montaggio nel film, effettuò un esperimento: da un vecchio film dell'epoca zarista scelse un grosso piano sul viso abbastanza inespressivo dell'attore principale, che replicò in tre esemplari. Affiancò allora a ciascuno di essi un altro piano.
Nel primo caso, si ha il piano di un tavolo sul quale è posta una scodella di zuppa: gli spettatori, interrogati, affermano che negli occhi del personaggio si evidenzia che ha fame. Nel secondo caso, si affianca al grosso piano del viso il piano di un cadavere disteso: gli spettatori affermano negli occhi dell'attore si scorge una grande tristezza. Nel terzo caso, si affianca al piano del viso quello di una donna nuda: gli spettatori affermano infine che nello sguardo dell'attore si denota una grande eccitazione. Peraltro, tutti gli spettatori sono d'accordo nel riconoscere il talento incontestabile dell'attore.

sabato 18 aprile 2009

Vuoto dopo il terremoto

La nazione è appesa a un filo
anche a causa di Impregilo
ma qualcuno meno noto
dopo questo terremoto
finirà (forse) in galera.
Poi lo spazio di una sera
basterà a un palazzinaro
sempre il solito cazzaro
con un nome che non c'era
per tornare a edificare
costruire e cementare
fiumi argini e le valli
salutandoci Mercalli
e tutte le zone a rischio:
"Se guadagno, me ne infischio!"
Implorando poi il perdono
fino al prossimo condono.

venerdì 17 aprile 2009

Windows

La strategia delle “finestre rotte” fu teorizzata da James Q. Wilson che, in un famoso saggio del 1982 sull’Atlantic Monthly, scrisse: “Prendiamo un palazzo in cui ci siano alcune finestre rotte. Se non verranno riparate l’inevitabile tendenza sarà quella di invogliare i vandali a spaccarne altre fino a romperle tutte; alla fine i vandali entreranno anche all’interno del palazzo, occuperanno gli appartamenti disabitati oppure daranno fuoco all’intero edificio”.

Il celebre sindaco di New York Rudolph Giuliani e il suo braccio destro, il capo della polizia William Bratton, allargarono la teoria delle “finestre rotte” alle altre situazioni di degrado della città; così anche reati considerati minori vennero perseguiti con insolita durezza. Come osserva Alberto Flores d'Arcais nel suo New York, il messaggio lanciato da Giuliani e Bratton era chiaro: l’ordine sarebbe stato mantenuto a tutti i livelli.

Il regime catodico italiota deve poter contare analogamente su una rappresentazione panottica e rotonda, che non ammette contraddizioni. Peccato che ad essere perseguiti non siano i graffitari, i lavavetri ai semafori o chi salta i tornelli della subway. Da noi viene punita la libertà di espressione, preziosa “finestra rotta” da cui potrebbe filtrare un po’ di aria nuova: colpirne uno per (auto)censurarne cento.

La voce “fuori dal colon”, come l’ha definita Sabina Guzzanti, rappresenta una velenosa discontinuità, in quanto potenziale attivatore di pericolosi meccanismi neuronali, detti anche “ragionamenti” che, con pericoloso effetto domino, metterebbero in crisi il rassicurante quadro complessivo, così doviziosamente rappresentato dai tanti trombettieri iscritti all’apposito albo.

Le uniche windows dalle quali si riesce a respirare libertà e idee nuove sono quelle che si aprono in rete. Tanti anni fa, un passato ormai remoto, la tv era comunemente associata all’idea di “finestra sul mondo”. Oggi, secondo il nostro democratico governo, quella finestra deve rimanere accuratamente chiusa. Gli spifferi fanno male, specialmente quando si è anziani.

mercoledì 15 aprile 2009

L'Amaca di Michele Serra

Vi riportiamo l'Amaca di Michele Serra pubblicata su Repubblica di oggi, che dedichiamo ai trombettieri d'Italia (già detti: giornalisti).

Il processo ad "Anno zero" sarebbe meno disgustoso se a istruirlo non fossero i giornali di governo. E, soprattutto, se il banco degli imputati "faziosi" fosse allargato di molto, comprendendo la schiera innumerevole dei reggimicrofono che hanno taciuto su tutte le questioni strutturali che il terremoto ha imposto. La melensaggine, la retorica piagnona, i servizi zelanti che illustrano quanto bravo, generoso, efficiente e prodigo sia lo Stato, e quanto grati e protetti i senzatetto che festeggiano la Pasqua nei campi circondati da uova e carezze, appartengono al "giornalismo corretto" tanto quanto le frottole fanno parte della realtà. Su "Studio aperto", tanto per fare nomi, ho visto un paio di servizi che grondavano di buone intenzioni e ottimi sentimenti, ma componevano un quadretto dolciastro e fasullo di una tragedia italiana che mette sotto accusa l´imprevidenza, l´ignoranza della legge, l´assenza di controlli. Un paese che chiede la testa di Santoro e non si accorge di quanto falsa, imbelle e implicitamente corrotta sia un´informazione che censura gli aspetti viziosi, e esalta quelli virtuosi (che ci sono: ma basta menarcela con l´eroismo e l´abnegazione, sono per primi i soccorritori a non sopportare questa colata di miele), è un paese già pronto per l´informazione di regime. Con le campane che suonano, e le voci stonate che tacciono.

martedì 14 aprile 2009

Quel che resta del giorno

Non è un Paese per giornalisti. La casta dei politici nostrana, sempre più biliosa e arrogante, non sopporta le critiche, anche quando fondate. L’assurda, ennesima contestazione di Santoro da parte del Presidente del Consiglio conferma che la libertà di espressione corre forti rischi nel nostro Paese.

Se nella trasmissione "Anno Zero" dedicata al terremoto in Abruzzo sono stati riportati dei fatti falsi, questi devono essere denunciati in modo circostanziato. Una volta fatte le opportune verifiche, si potrà eventualmente procedere con una sanzione. Ma se la censura riguarda un’opinione, questo diventa inaccettabile in una democrazia.

Nel corso della trasmissione di giovedì 9 aprile, nessuno ha sottovalutato l’enorme sforzo in corso da parte della Protezione Civile e dei volontari per soccorrere le popolazioni abruzzesi.

Tuttavia alcune domande bisogna porsele:
1. Perché di fronte a un’emergenza che, se non prevedibile, era almeno possibile (le scosse si susseguivano da 4 mesi), la Protezione Civile non ha controllato prima la sicurezza di alcuni edifici strategici come prefettura e ospedale, entrambi crollati?
2. Perché non è mai stata fatta un’esercitazione tra la popolazione?
3. Perché non c’era un’unità di crisi insediata (il prefetto era addirittura vacante ed è stato nominato dal governo dopo il sisma)?

Queste e molte altre mi sembrano domande legittime, anzi doverose per un servizio pubblico che intenda svolgere correttamente un ruolo di controllo democratico di chi detiene il potere, nell’interesse dei cittadini.

Se invece la pubblica televisione deve essere soltanto un megafono, senza poter accendere le luci su nessuna voce critica rispetto alla verità ufficiale, alle lacrime e al Presidente pompiere, possiamo anche farlo.


L’importante è essere consapevoli che, se viene chiuso d'imperio un giornale settimanale che ha dai 4 ai 5 milioni di spettatori, stiamo di fatto sospendendo momentaneamente la democrazia (per ragioni dipendenti dalla nostra volontà).

Questo terremoto, oltre a tutte le vite che ha spezzato, fisicamente e metaforicamente, rischia di spazzare via uno dei pochi spazi informativi ancora non presidiati né da Berlusconi né dal Pd. Rischia di oscurare, stavolta definitivamente, quel che resta del giorno.

lunedì 13 aprile 2009

Obama, Berlusconi e Cary Grant

“Tutti vogliono essere Cary Grant”, diceva Cary Grant. “Perfino io voglio essere Cary Grant”.

Come osserva Zadie Smith sulla New York Review of Books, gli uomini che si sono fatti da sé (o che così vengono percepiti da ampie fasce della popolazione) hanno una strana capacità riflettente: in loro vediamo quello che vogliamo vedere.

In Italia, tutti vogliono essere Berlusconi; perfino Berlusconi vorrebbe essere Berlusconi. Ognuno vede in Berlusconi qualcosa di sé stesso. Votando per Berlusconi, si vota quindi per sé stessi.

Il solo candidato che può sconfiggere Berlusconi non è un Rutelli, un Veltroni, un Franceschini. Ci vuole un’altra icona pop, una cosa tipo Pippo Baudo quand’era all’apice del successo. Ormai non è più sufficiente un leader, per quanto carismatico: serve un modello nel quale le masse possano empaticamente riconoscersi. Ancora più che in Berlusconi.

Negli Stati Uniti, ci è riuscito Obama. Come sottolinea la Smith, ha riunito in sé molteplici voci: originario contemporaneamente delle Hawaii e del Kenya, del Kansas e dell’Indonesia, può parlare il gergo del ragazzo di strada e pronunciare orazioni da senatore. Durante la campagna elettorale, Obama ha sempre usato “noi” (“Yes we can”), pronome naturalmente inclusivo, diffidando sempre della parola “io”. Ha costruito il proprio “io” partendo dal “noi”.

Berlusconi invece ha costruito il proprio “noi” partendo dall’”io”: un’operazione inversa, che intende plasmare la società a immagine e somiglianza del leader. Berlusconi è un miliardario carismatico e populista che incarna un modello di comunicazione top-down: la veicolazione del messaggio è verticale, tipicamente televisiva e non prevede possibilità di replica. Il modello funziona perché il mezzo è il messaggio.

Anche nel caso di Obama il mezzo è il messaggio, ma il mezzo e il messaggio sono di segno opposto, sono orizzontali. La molteplicità di voci incarnata da Obama, leader che viene dal basso, ben si riflette in una società più incerta, diffusa e plurale. Il web è la modalità di comunicazione più naturale per questi contenuti: comunicazione partecipata e social network vivono al meglio in una società aperta, caratterizzata da mobilità sociale e in cui c’è libertà di informazione.

Per queste ragioni Beppe Grillo ci vede giusto: il solo leader che può spiazzare Berlusconi deve parlare realmente un altro linguaggio, appartenere a un’altra generazione e soprattutto a un’altra mentalità. Finchè il centrosinistra non lo capirà, continuerà a prendere batoste: sconfiggere Berlusconi sul suo stesso campo a questo punto è impossibile. La discontinuità deve essere netta e deve riguardare sia il messaggio sia le modalità di comunicazione con cui quel messaggio viene veicolato.

sabato 11 aprile 2009

Musica in folle


Guardati intorno e guardati da chi si professa libero
Il sapore della libertà è la paura
Solo chi ha paura della libertà ha il coraggio di inseguirla.

Saggezza antica, quindi modernissima, in questi tempi bui, nei quali la parola “libertà” è usata con disinvoltura prêt-à-porter. Il poeta milanese Vincenzo Costantino Chinaski ha aperto così, l’altra sera, il SoloShow di Vinicio Capossela in un gremito Sistina. Spettacolo circense d’antan, meraviglioso concerto freak: le sue geniali invenzioni musicali si incarnano in metafore visive trabordanti di contrasti, sfumature, luci.

La sospensione dell’incredulità, così ambiguamente seducente e pericolosa in politica, trova nell’arte la sua valvola naturale, il suo luogo perfetto. Gli strumenti inconsistenti suonano la clandestinità di un artista alcolico: Vinicio deriva dal latino e significa "del vino" (amico del vino).

Sul palco accordi e disaccordi risuonano nuovi e inconsueti: il mitico pianoforte Tallone, costruito dall'accordatore di Arturo Benedetti Michelangeli, il Baldwin Acrosonic 1953, "il piano perfetto da saloon", lo Steinway gran coda D 1958 e una schiera di Theremin, cristallarmonio, mellotron, optigan, armonio indiano, più i giocattoli sonori di Pascal Comelad, l’autoarpa suonata nelle chiese metodiste, la chitarra stella, il baglamas, piccolo bouzuki del “rebetico”, la musica greca, e il colossale organo Mighty Wurlitzer.

Sullo sfondo della scena, i mostri evocati dalle canzoni: la Medusa, il Minotauro. I velluti e le quinte del teatro ci proteggono da queste presenze terrificanti, ma sappiamo che ci aspettano appena usciremo di qui. Intanto godiamoci quest’illusione, i colori del fantastico, prima di combattere con le ombre della realtà.

Capossela dixit: “Mi sento sempre come il benzinaio dal quale si va a fare il pieno. Dopodiché la gente prende la sua strada e io resto là con la pompa in mano”. Grazie Vinicio, ci si vede al prossimo rifornimento.

venerdì 10 aprile 2009

Banale 5, il grande fratello e il terremoto

“Chi vuoi che resti nella casa?” La scritta in sovrimpressione resiste beffarda per diversi minuti sul teleschermo, mentre abbiamo negli occhi la tragedia abruzzese che ha tolto il tetto e il sonno a decine di migliaia di persone.

L’altra sera, a 48 ore di distanza dal terremoto, va in onda il Grande Fratello su Banale 5. The show must go on, mentre si scava alla ricerca di qualche sopravvissuto. Infatti vanno avanti per ore con discussioni surreali: Tizio ha litigato con Caio perché voleva farsi Sempronia, o cose del genere.

Il cosiddetto reality, già deprimente nella vita di tutti i giorni, quando irrompe la realtà appare ancora più insopportabile e differito, nella sua autoreferenzialità lunare.

Sei milioni di persone, che l’altra sera hanno seguito lo show, evidentemente non la pensano così. A pensarci bene, questa televisione è utile. Offre infatti una misura esatta come un sismografo: in Italia ci sono (almeno) sei milioni di coglioni. Occorre tenerne conto. E’ un censimento accurato, e si rinnova tutte le sere.

martedì 7 aprile 2009

L'Aquila ferita

Dopo ore e ore di diretta tv, crediamo di sapere tutto sul terremoto che ha sconquassato l’Abruzzo. Abbiamo visto il dolore, le urla, la fatica dei soccorritori, lo sguardo assente di chi sa di non avere più la propria casa, le proprie cose.

Possiamo solo immaginare l’odore della legna bruciata per riscaldarsi, il freddo pungente della notte sotto una tenda di fortuna, il silenzio di un paesino morente violentato dal rumore delle ruspe e dalla luce delle fotocellule, l’imbarazzo di fare i propri bisogni all’aperto in attesa che arrivino i bagni chimici, i vetri appannati dal riscaldamento dell’automobile, per molti l’ultimo rifugio.

Ci ricordiamo all’improvviso di una Regione in penombra, recentemente agli onori delle cronache per le solite intercettazioni e gli intrallazzi mazzettari dei suoi vertici. Una Regione sempre un po’ sbiadita nell’immaginario nazionale: un dialetto poco caratterizzato, che non sentiamo al cinema o nei monologhi dei comici televisivi; una gastronomia anonima, poco celebrata nei tanti ricettari che affollano scaffali e palinsesti; quel turismo un po’ così, con la montagna che non è mai la “vera” montagna e il mare che non è il “vero” mare.

Ci ricordiamo, dopo tanti condoni edilizi che hanno sanato abusi e scempi per fare un po’ di cassa hic et nunc, che servono i controlli, la prevenzione, gli interventi per mettere in sicurezza il patrimonio edilizio residenziale, soprattutto in zone sismiche come la dorsale appenninica. Mentre la politica fino a ieri aveva messo in agenda esattamente il contrario: l’ampliamento “fai-da-te” delle villette.

Ci sono le lacrime di chi ha perso i propri cari, le lacrime degli sfollati e le lacrime di coccodrillo. E dietro quelle macerie fisiche, così insopportabili a vedersi, ci pare di scorgere, ancora più gravose, le macerie civili di un Paese senza regole e senza coscienza.

Vi consigliamo di leggere quest’articolo:
http://cattaneo-lescienze.blogautore.espresso.repubblica.it/2009/04/06/prevedere-i-terremoti-o-adeguare-gli-edifici/
----------------------------------------------------------
Per effettuare donazioni alla CRI si possono utilizzare i seguenti sistemi:

Conto Corrente Bancario C/C BANCARIO n° 218020 presso: Banca Nazionale del Lavoro-Filiale di Roma BissolatiTesoreria - Via San Nicola da Tolentino 67 – Roma intestato a Croce Rossa Italiana Via Toscana, 12 - 00187 Roma. Coordinate bancarie (codice IBAN) relative sono: IT66 - C010 0503 3820 0000 0218020 Causale: PRO TERREMOTO ABRUZZO

Conto Corrente Postale n. 300004 intestato a: "Croce Rossa Italiana, via Toscana 12 - 00187 Roma c/c postale n° 300004 Codice IBAN: IT24 - X076 0103 2000 0000 0300 004 Causale: Causale PRO TERREMOTO ABRUZZO

Donazioni on line: È anche possibile effettuare dei versamenti online attraverso il sito web della CRI all' indirizzo:http://www.cri.it/donazioni

sabato 4 aprile 2009

Il mattino ha l'oro in bocca

Mattino cinque è il contenitore in onda su Canale 5 dalle 8,40 alle 11,00, condotto da Barbara D’Urso e Claudio Brachino e realizzato da Videonews in collaborazione con il Tg5: uno dei tanti esempi, quotidiani e concreti, che viviamo in un Paese deforme dal punto di vista comunicativo e, quindi, democratico.

Il programma ha due anime. Da un lato il cazzeggio gossipparo, presidiato dalla D’Urso che discetta di fuffa, mostrando schegge di grande fratello e scarti di fattoria. Dall’altro, la parte “giornalistica”, seguita dal pingue Brachino, che si sollazza con storiacce di cronaca nera e vicende efferate di varia natura.

Ma non finisce qui. Una volta catturata la preda (donne e giovani, davanti allo schermo a quell’ora: circa un milione di telespettatori, share tra il 19 e il 25%), la sua attenzione viene prima venduta agli sponsor, che pagano Mediaset, ovvero il Presidente del Consiglio, per inserire i loro spot.

Quella stessa attenzione viene poi ceduta gratis anche a un selezionato pacchetto di opinionisti, ovviamente tutti militanti a favore delle tesi del premier: Maurizio Belpietro, Filippo Facci, Paolo Del Debbio. Persino le testate giornalistiche continuamente citate e coinvolte sono tutte dello stesso colore, alla faccia del pluralismo: Panorama, Libero, Il Giornale.

Un meccanismo perfetto, quasi militare, per una silenziosa e apparentemente innocua creazione del consenso. C’è ancora chi si ostina a biascicare di etica del giornalismo. Qui, ben che vada, siamo alla cosmetica.

Prima si attira la curiosità delle masse con la tettona del GF o con qualche schizzo di sangue o liquido organico dell’ultimo fattaccio splatter; poi si fa un breve lavaggio del cervello mattutino, tanto per cominciare bene la giornata. Un solo investimento, due ritorni: commerciale e politico. Proprio vero che il mattino ha l’oro in bocca.

mercoledì 1 aprile 2009

Tutti a casa!

Nell’universo semiotico berlusconiano, la casa ha sempre giocato un ruolo di primo piano: il focolare domestico come avamposto rispetto alla sinistra delle piazze, un rassicurante perimetro di diritto privato che si contrappone alle incertezze di una società aperta.

Prima della “discesa in campo”, la casa ha rappresentato negli anni '80 il luogo privilegiato per la fruizione della televisione commerciale, un approdo sicuro rispetto all’aleatorietà del mondo esterno e dei convulsi Seventies (“Corri a casa in tutta fretta, c’è un biscione che ti aspetta” era lo slogan del nascente network, sull'onda del riflusso). Ancora prima, la casa ha rappresentato, non solo sul piano simbolico, la quintessenza del potere berlusconiano, che infatti nasce ab ovo come costruttore: all’inizio Canale 5 si chiamava Telemilano 58, ed era la tv via cavo di Milano 2.

Negli anni in cui la Standa fu di proprietà di Berlusconi, un martellante slogan pubblicitario fece diventare quei grandi magazzini “La casa degli italiani”. Una delle invenzioni politiche di Berlusconi fu la “Casa delle libertà”, poi egregiamente satireggiata da Corrado Guzzanti ("facciamo un po' come cazzo ci pare"). Persino l’associazione consumerista più vicina al premier è stata battezzata “Casa del consumatore”. Per non parlare della famigerata "casa" del Grande Fratello e delle tante case possedute dal premier nei luoghi più favolosi, spesso presenti nelle cronache politiche e mondane.

Mirabile fu il recupero di consenso durante un dibattito elettorale con Romano Prodi, quando il Berlusca tirò fuori l’asso dalla manica: l’abolizione dell’ICI. L’italiano, si sa, tiene famiglia e apprezza. Fino ad arrivare ai giorni nostri quando, dopo qualche bel condono edilizio, l’esecutivo discute il famigerato piano casa e connesso aumento delle cubature.

Una chiave vincente per farsi aprire le porte dalle tante casalinghe di Voghera, accattivandosi le simpatie di un popolo mammone, che in larga misura possiede abitazioni di proprietà, attento da secoli al particulare più che al bene pubblico. Una strategia geniale e vincente, per molti calda e consolatoria, che ha portato numerosi connazionali a considerare Berlusconi uno di casa.

"Dove c'è Berlusconi c'è casa":
http://azionecatodica.blogspot.com/2008/11/dove-c-berlusconi-c-casa.html