martedì 30 marzo 2010

Il sorpasso


Ha vinto Bruno Cortona. Vince l’Italia di sempre: ama presentarsi come simpatica canaglia, cialtrona ma tutto sommato innocua mentre nasconde peccati ben più inconfessabili, al volante di un’Aurelia spider, sbeffeggiando col clacson quelli rimasti indietro, che si allontanano nello specchietto retrovisore. Il volto di Gassman vitellone gaudente mi sembra condensare plasticamente vizi e virtù di questa destra e del popolo, tanto, che la vota: apparentemente compagnona ma profondamente egoista, vigorosa ma inconcludente, tanto amante delle belle donne quanto indifferente alle regole fino alla tragica irresponsabilità.

Ogni popolo ha il governo che si merita e a questo punto va detto che la sintonia del berluscoleghismo con il Paese, o almeno con una metà abbondante, ha qualcosa di pre- e post-politico: è una sintonia profonda, culturale, quasi genetica. D’altra parte, ci ritroviamo una sinistra fighetta e salottiera che, se sopravvive nelle aree metropolitane, sprofonda nelle province: mi chiedevo cosa pensassero, dalle parti di Rieti o Frosinone, delle battaglie civili della Bonino. Ora lo sappiamo.

In Piemonte, il 4% della lista di Grillo ha regalato la Regione a Berlusconi: caro Beppe, adesso il Vaffa dovresti prendertelo tu. In Campania, l’incredibile pervicacia di Bassolino nel restare fino all’ultimo minuto, nonostante il disastro della monnezza in mondovisione, ha portato il Pd direttamente in discarica. In Puglia invece ha vinto Vendola, ossia l’unico che gli astuti dirigenti del Partito volevano cacciare. Sul piano nazionale poi, il prossimo leader dei democratici probabilmente adesso è in terza media.


Da tempo sostengo, e questo blog ne è l’espressione, che per capire davvero la politica di questo Paese non serva tanto leggere Repubblica o Internazionale, quanto Tv Sorrisi e Canzoni. Ieri sera, mentre i più masochisti si abbruttivano con percentuali, proiezioni e il duello Bindi-Bondi, in 6 milioni si godevano sereni la finale di Amici. Il voto ormai era stato espresso: i nostri connazionali si preoccupavano del televoto. Quelli che non erano davanti alla tv, pensavano forse già alle vacanze estive. Magari su una spider, sfrecciando veloci verso il mare.

domenica 28 marzo 2010

Noi per una notte


Ricorderemo a lungo il sapore clandestino ed eccitante della serata di giovedì quando, sulle antenne lesse delle varie tivù, scorrevano, nell’indifferenza generale, soporifere tribune elettorali con sottotitoli per i non udenti. Mentre noi, milioni di non udenti volontari, ci sintonizzavamo, corsari dell’etere, su frequenze meno frequenti e frequentate, sentendoci un po’ come i nonni che cercavano Radio Londra per avere un’informazione lontana dalla prosopopea della propaganda fascista.

Abbiamo finalmente potuto sentire in televisione le aberranti conversazioni tra i cosiddetti vertici Rai, il cosiddetto Presidente del Consiglio e la cosiddetta Authority per le Comunicazioni: in un Paese che conservasse ancora un briciolo di dignità, si sarebbero dovuti dimettere in blocco. Invece non solo stanno ancora tutti saldamente in sella, ma addirittura si permettono di invocare il licenziamento di chi rende pubbliche quelle intercettazioni: il criminale non è chi commette il reato, ma chi lo denuncia. La reazione della rete è stata fulminea: il gruppo che abbiamo aperto su Facebook “Mobilitazione permanente contro il licenziamento di Santoro” ha superato i 2000 iscritti in meno di 24 ore.

La finestra ormai si è aperta e ha lasciato entrare aria di primavera in una casa che è rimasta chiusa troppo a lungo: pensieri e parole proibiti, persone messe al bando, informazione vera, satira corrosiva. Merce pericolosissima per un regime avariato che si fonda sul servilismo di chi trasmette i messaggi e sull’apatia di chi li riceve, rispondendo in coro “Siii” e “Nooo” allo squadrismo retorico di finte domande.

Paperon de’ Berlusconi teme Santoro, come temeva Biagi, in quanto sanno usare la televisione e non sono in vendita. La storica serata Rai per una notte ha messo insieme diversi media e piattaforme: web, satellite, digitale terrestre, tv locali, radio. E, per una notte, Davide ha incredibilmente battuto Golia. Un’intuizione paradossalmente simile a quella che ebbe lo stesso B. quando, negli anni ‘80, sfruttò l’interconnessione delle emittenti televisive locali per aggirare il monopolio Rai.

Dal Paladozza di Bologna siamo riusciti, tutti insieme, ad aggirare la censura: chi di emittenza ferisce, di emittenza perisce. Come diceva McLuhan, “il mezzo è il messaggio”: la pluralità dei mezzi impiegati giovedì sera rimanda a un messaggio forte e plurale, lontano dalla voce solitaria del padrone e dal pensiero unico. Un lampo geniale, che non può esaurirsi in una sola serata. Ha dimostrato una forza propulsiva che qualcuno dovrebbe coltivare per il futuro, fino a riappropriarci finalmente di una parola stuprata da troppi anni: libertà.

sabato 20 marzo 2010

Silenzio stampa!

In Fahrenheit 451 Francois Truffaut, come nell’omonimo libro di Ray Bradbury, ipotizza un futuro nel quale leggere libri è considerato un reato, per contrastare il quale un apposito corpo di vigili del fuoco (i Pompieri della Sera?) brucia ogni tipo di volume. In 1984, per George Orwell la società è governata da un onnipotente partito unico con a capo il Grande Fratello, personaggio che tiene sotto controllo la vita di tutti i cittadini. I suoi occhi sono dei televisori-telecamere che, oltre a diffondere propaganda 24 ore su 24, spiano la vita di chiunque. Il partito è Governato dal Minamor (MINistero dell'AMORe), che controlla la fedeltà dei membri del partito, convertendo i dissidenti alla sua ideologia. Il Minamor è dotato di una polizia politica, la psicopolizia, che interviene in ogni situazione sospetta di eterodossia e di deviazionismo. Da noi la psicopolizia assume forme molteplici e ogni giorno ci si presenta con un volto nuovo, Authority per le Comunicazioni o Commissione di Vigilanza Rai.

La ridicola giustificazione formale, ovvero la possibile mancata applicazione della par condicio, non dissimula la verità sostanziale: chiudere d’imperio, in campagna elettorale, tutte le trasmissioni di approfondimento giornalistico del servizio pubblico televisivo è un atto di censura. Da quasi un mese, l’agenda dell’informazione televisiva è dettata esclusivamente dalle scelte dei telegiornali, orribilmente addomesticati e paludati, Tg3 incluso.

L’obiettivo della censura è soprattutto uno, Michele Santoro: Annozero è la trasmissione giornalistica più seguita della Rai e la sua libertà nell’accendere i riflettori su temi e personaggi che, altrimenti, in tv non finirebbero mai risulta intollerabile al Ministero dell’Amore. L’attacco, oltre che a Santoro e alla sua squadra, è a tutti noi, alla nostra libertà di cittadini di essere informati.


Come già per l’editto bulgaro, mi sembra doveroso sottolineare la pavidità nelle reazioni dei giornalisti delle altre testate, televisive e stampate. Al di là dell’appoggio di FNSI e Usigrai, si registrano solo tiepide solidarietà tra colleghi, mentre la gravità dell’accaduto avrebbe dovuto imporre forme di protesta ben più incisive. Pensate che segnale meraviglioso se, come accaduto in Estonia, e dico Estonia, tutti i quotidiani fossero usciti con una prima pagina completamente bianca, rivendicando la libertà di stampa. Ma sappiamo di che pasta sono fatti i giornalisti nostrani.


C’è un ulteriore risvolto di questa vicenda, ed è quello economico. Giovedì scorso le le Conferenze stampa per le Regionali che hanno preso il posto di Santoro hanno fatto appena 770 mila ascoltatori e il 2.83% di share, forse il minimo storico per la prima serata di Rai Due; per Annozero c'erano circa 5 milioni di spettatori e il 20% di share. Un crollo di ascolti che si riflette sulla pubblicità; un danno economico che diventa un danno erariale, visto che la Rai appartiene allo Stato. Chi ci risarcisce di questa ulteriore perdita? Va da sé che la serata di giovedì è stata vinta dalle reti Mediaset.


Stiamo forse diventando una società dispotica e distopica, l’opposto di utopica, ovvero una società indesiderabile? Come nei romanzi immaginati dalla letteratura di fantascienza, ma come purtroppo si è verificato anche nella storia, in questo momento della storia italiana abbiamo al comando non un’organizzazione, ma una singola persona che fa da catalizzatore dell'amore e del'odio, della paura e della venerazione. Quanto più aumentano la sua arroganza e la volontà di controllare chi non la pensa come lui, tanto più aumenta il nostro diritto di ribellarci.


PS Internet e le voci democratiche aggirano la censura.

Date il vostro contributo con 2,5 euro a http://www.raiperunanotte.it/

domenica 14 marzo 2010

C'era una volta il telegiornale

Cari nipoti, adesso vi racconterò una storia. C’era una volta, tanto tempo fa, un’abitudine assai diffusa in tutte le famiglie italiane: la sera, all’ora di cena, si accendeva la tv sul telegiornale. All’epoca, non c’era internet e per molti di noi quella era l’unica fonte per conoscere le notizie dall’Italia e dal mondo.

In estate, quando le finestre dei condomìni erano spalancate per il gran caldo, e non c’erano i condizionatori, camminando per strada si sentiva la sigla del tg risuonare tra i caseggiati, tanto quel notiziario era seguito. Ascoltare il “comunicato”, come lo chiamava mio nonno, era un rituale, come andare a messa: la scansione delle notizie sembrava appartenere a una selezione imperscrutabile e naturale, quasi fosse la mano di Dio a guidare la scaletta e il lancio degli rvm.

Lo studio aveva la semplicità francescana di un altare laico; i conduttori esibivano una sobria compostezza che rimandava a virtù ultraterrene. Era un’abitudine che sapeva di famiglia, mentre il ragù scoppiettava nella pentola di coccio. A un certo punto, alcuni loschi figuri, desiderosi di appropriarsi di tanto potere, si impadronirono della gloriosa testata. L’ammiraglia dell’informazione, un tempo così seriosa, venne prima trasformata in nave da crociera, svampita e attraente, piena di distrazioni e animatori e poi, mentre tutti erano lì sul ponte a prendere il sole, divenne un temibile vascello pirata.

Sui ponti vennero issati i cannoni; i pochi oblò furono oscurati e corazzati in modo che, a parte il cattivissimo Capitano, nessuno vedesse più nulla; lo stesso equipaggio sembrava non conoscere più la Direzione. Si scatenarono furibonde battaglie e furiose polemiche: alcuni certosini si impegnavano persino a conteggiare minuziosamente i minuti concessi a questo o a quel personaggio. Per molto tempo ancora, solo in pochi si accorsero che la soluzione del problema era invece assai semplice.

Infatti, bastava premere un tasto per far scomparire quel minaccioso vascello dalle onde agitate della tv. Prima lo fecero in pochi, poi sempre di più. Infine, una folla enorme, composta da 6-7 milioni di persone, di colpo spense la televisione: nonostante tutti quei cannoni, erano loro ad avere in mano l’arma più potente. Avevano finalmente capito che quel rituale collettivo era ormai privo di senso: non avevano bisogno di una bussola taroccata quando ciascuno poteva navigare liberamente per cercare le informazioni.

I pochi rimasti ancora davanti al video, per inerzia o per pigrizia, avevano gli occhi rivoltati all’insù e il cervello bollito. E comunque non bastarono a giustificare l’esistenza e il tesoro di quei diabolici pirati, che avevano cercato di impadronirsi di un’abitudine innocua per imporre una visione della realtà distorta e mistificata. La loro nave venne risucchiata nei flutti del mare in tempesta e colò a picco, mentre il Capitano urlava il suo ultimo, rabbioso editoriale. Quella che sembrava una corazzata inaffondabile giace oggi chissà dove sui fondali. Nessuno la ricorda più.

sabato 6 marzo 2010

Tar condicio


Marzo 2010, elezioni regionali nello sterco italiano: ne abbiamo a sufficienza per invocare gli osservatori dell’OCSE. Regole amputate, informazione oscurata, candidati impresentabili tra massaggi e appalti, trans e coca, camorra e ‘ndrangheta, querele e ricorsi al Tar.

Se c’è una legge che disciplina o prescrive un comportamento, non si adegua il comportamento: si cambia la legge. Stabilito il principio base, come per l’iPhone, le applicazioni sono innumerevoli: condoni, scudi, amnistie, indulti, lodi, leggi ad personam e decreti interpretativi. C’è un clima da Far West: quando non convengono, le regole si calpestano, riscrivendole a piacimento, sbronzandosi al saloon e irridendo lo sceriffo.

La violenza di uomini e gesti è scandalo, non si deve raccontare: i pochi testimoni ancora disposti a parlare vengono ridotti al silenzio, comprati, censurati. I microfoni diventano megafoni, le prescrizioni assoluzioni, i fatti opinioni. I riflettori rimangono accesi solo per servi, buffoni e puttane.


Pistoleri e fuorilegge entrano nel Palazzo e, come nota Travaglio, ci pisciano addosso dicendoci che piove. Le parole si svuotano nei telegiornali che sanno di cipria e paillettes, ridotti a rotocalchi per un popolino ebete; le luci della ribalta proiettano ombre confuse sui muri neri della propaganda. La barbarie comincia così.