sabato 6 agosto 2011

Partire sempre, arrivare mai

Nepal e Vietnam, deserto di Atacama, Australia e Nuova Zelanda, oltre a formazioni rocciose, foreste pietrificate, barriere coralline e favelas di varia estrazione. Sono le risposte alla domanda, temeraria ma inevitabile, che risuona in questi giorni negli uffici, in metro, nei bar: “Dove vai in vacanza?”. Chi ti risponde lo fa con un lampo luciferino negli occhi, preventivamente eccitato dall’ammirazione che la meta delle sue ferie esoticheggianti dovrebbe suscitare.

Fanno la vita del sorcio tutto l’anno, poi a un certo punto si sentono Tiziano Terzani, scoprendosi terzomondisti, difensori della biodiversità e proclamatori indefessi dei diritti dell’uomo: Indiana Jones all’amatriciana, sono le vittime della Lonely Planet, dicono di detestare il turismo di massa ma ne fanno parte integrante e contribuiscono ad alimentarlo. Una volta, per il racconto del mondo, ci si affidava ai resoconti di romanzieri e corrispondenti: oggi una democratizzazione fasulla, unita a un’ansia di protagonismo da reality show, portano a voler vedere tutto subito e in prima persona, peraltro rovinando quegli stessi siti che, a parole, si dice di voler preservare.

I voli low cost hanno reso abbordabili destinazioni una volta riservate esclusivamente ai viaggiatori di professione, che possono permettersi di trattenersi diversi mesi nello stesso posto, o ritornarci spesso, per penetrarne l’essenza: vederlo nelle diverse stagioni, mescolarsi alle abitudini locali, frequentare le persone e i luoghi, leggere e documentarsi.

Il turista Lonely invece è generalmente uno stipendiato che può permettersi un paio di settimane di ferie l’anno e con quelle pretende di conoscere l’orbe terracqueo: ogni anno una destinazione diversa, piantando le bandierine nei vari Paesi come in un enorme Risiko, tra l’altro gravido di inutili emissioni di C02. Vanno nei posti senza esserci davvero stati: due settimane a calci nel sedere e la Cina è fatta, altre due l’anno prossimo e anche l’India ce la siamo tolta: avanti il prossimo. Uno scatto a piazza Tienanmen, poi via verso la Grande Muraglia: un Paese da un miliardo di persone viene visitato in un lasso di tempo buono per conoscere le Marche. E neanche tutte.

Pauperisti di maniera, scattano affannosamente foto a ogni latitudine per far vedere agli amici quanto sono cosmopoliti e le pubblicano su Facebook, meglio se in tempo reale, direttamente dai similposti in cui credono di trovarsi: la superficialità di questi Vasco da Gama un tanto al chilo è pari solo alla loro presunzione. Il semplice fatto di smanettare un po’ su internet, prenotando ogni volta destinazioni sempre più di nicchia, o presunte tali, li fa sentire meglio: ostentano sedicente spessore morale, autocertificata profondità d’animo e, soprattutto, improbabile conoscenza di costumi locali. Come Zelig, diventano sunniti in Medio Oriente, mandarini in Asia e tanghèri in Argentina: in realtà hanno in testa quattro concetti letti in aereo e appiccicati con lo sputo, studiandosi in due ore la storia della Francia, da Vercingetorige a Sarkozy. C’est tout.

Il tono ispirato con cui raccontano le loro trasferte, una volta rientrati in città, suscita invidia negli incauti e ilarità negli avveduti. Questi ultimi sanno che il vero lusso da concedersi è la lentezza: date le risorse disponibili, scelgono alcuni luoghi per affinità o curiosità, approfondendo palmo a palmo, possibilmente ritornandoci, con passione, esperienza, consapevolezza. Il piacere della conoscenza è inversamente proporzionale al dovere del check-in, quasi fosse un tornello d’ufficio, spostandosi senza una bussola; come diceva Seneca, non ci sono venti favorevoli per il marinaio che non sa dove andare.

L’autentico viaggiatore sa esserlo anche sotto casa - oltre che dentro sé stesso: gli esploratori Ryanair partono senza arrivare, si spostano ma non viaggiano, avventurandosi in una velleitaria quanto infondata conquista del pianeta, da Vitorchiano a Saigon, senza conoscere i segreti del proprio Paese, i dintorni della propria regione, gli angoli più nascosti e appaganti della propria città. La lapide su questo dilagante esotismo a tutti i costi l’ha scritta il comico Enrico Brignano, in un suo monologo di illuminante saggezza popolare: “Ma quale tè nel deserto … Io non riesco a prendere neanche un caffè in centro”.