venerdì 29 aprile 2011

Habemus Papi


Karol Wojtyla, pontefice prossimo alla beatificazione, era un attore. Lui stesso, nel libro autobiografico Dono e mistero ricorda i suoi esordi teatrali: "Nel periodo del ginnasio ero preso soprattutto dalla passione per la letteratura, in particolare per quella drammatica, e per il teatro". Con il suo carisma, egli divenne un emblema per credenti e laici, passando alla storia come il Papa che sconfisse il comunismo.

Melville (Michel Piccoli), invece, non è mai stato un attore. Avrebbe voluto esserlo, ma il pudore di rappresentarsi ha vinto, facendogli sempre mancare il suo posto in palcoscenico, incluso quello più importante. Il pubblico dei fedeli, senza il suo protagonista, rimane spaesato, seduto in platea di fronte all’angoscia di un palco vuoto: un gregge senza pastore.


La complessità della vita è, per molti, inaccettabile: la ricerca di una guida, o della sua miglior rappresentazione possibile, diviene quindi un elemento di catarsi, intesa come purificazione, quasi un rituale magico, un sogno collettivo ad occhi aperti. In ambito psicoterapeutico, il metodo catartico indica la liberazione di emozioni in pazienti ansiosi, grazie al recupero di particolari pensieri o ricordi biografici. La psicanalisi è, tuttavia, un’arma spuntata: il personaggio interpretato da Moretti è prigioniero di una scienza ormai autoreferenziale e dogmatica, quanto la fede di Melville è invece vivificata da dubbi e ricerca di autenticità.


Se la folla di piazza San Pietro, alla ricerca di purificazione spirituale, rimane delusa, le persone che affollano i cinema per vedere Habemus Papam, possono godersi il piacere della rappresentazione scenica che procura una purificazione dei simili: passioni dello spettatore e passioni rappresentate. Nella Politica Aristotele aveva trattato della catarsi generata dalla musica che induce alla riflessione e che libera dalle fatiche quotidiane: in questo senso, il film stesso, e più in generale il cinema, divengono un formidabile veicolo di illusione e di catarsi artistica, e il regista/autore una forma più evoluta di “capo” per “folle che vogliono obbedire”.


I meccanismi di rappresentazione del potere sono analoghi, nella fede come in politica: in questi anni ci siamo abituati alle doti istrioniche, per molti seducenti, di una leadership basata essenzialmente sulla finzione. Il vero leader prende le distanze dai rituali del “teatrino” per poi essere protagonista dell’unico, autentico “teatro”: il suo. Diviene leader dell’antipolitica per fare vent’anni il capo del governo; oppure pontefice dai modi familiari e inconsueti per poi divenire l’incarnazione più autentica, innovatrice nella forma quanto conservatrice nella sostanza, del Vicario di Cristo. Allo stesso modo, su un altro livello, si situano lo spietato amministratore delegato che nasconde il suo pugno di ferro dietro un rassicurante golfino blu, oppure l’allenatore, famoso e strapagato, che contesta i meccanismi del calcio di cui è il più egocentrico esponente.


Dietro le tende mosse dal vento di quella finestra di Piazza San Pietro, il gesto, interpretato da molti come quello di un vigliacco, diviene l’attestazione di un coraggio non comune: quello di un uomo che non vuole ingannare i suoi fratelli e le sue sorelle con una rappresentazione teatrale insincera. In questo senso, il debole diventa forte e lo sconfitto, vincitore: messaggio vero del cristianesimo ma, al tempo stesso, potente metafora di una società senza più guida nè punti di riferimento.

1 commento:

Anonimo ha detto...

complimenti...sinceramente!