Questa opinione contiene "spoiler", ovvero riferimenti alla trama del film che possono rovinarne la visione a chi non lo ha ancora visto.
Era il 7 agosto del 1974 quando Philippe Petit camminò su una corda spessa meno di tre centimetri tra le Torri Gemelle di New York, a 417 metri d'altezza e senza sistemi di sicurezza. Petit era piccolo nel vuoto come oggi è piccolo l’Impero Occidentale, crollato in quel 2001, fisicamente per la barbarie terrorista e simbolicamente per l’inesorabile avanzare dei nuovimondi.
Precipitiamo senza paracadute, si sgretolano l’economia e la fiducia e con loro i nostri valori e i codici identitari più profondi. Due film, apparentemente diversi, si parlano e ci parlano di quest’equilibrio precario, di questa fragilità, nella quale un episodio qualsiasi, un piccolo incidente o una tragica fatalità, possono mettere in discussione i pilastri della convivenza civile, facendo emergere un’aggressività tribale ed egoista. Nel film di Polanski, la miccia è un bastone che finisce sui denti di un undicenne nel corso di una rissa tra ragazzini: l’infortunio rivela la vera natura dei rispettivi genitori, facendo affiorare, in un crescendo claustrofobico, conflittualità sopite e ansie non devitalizzate. Nel film di Soderbergh, una pandemia, originatasi per un casuale contatto tra due animali, si sta diffondendo in tutto il mondo, con un contagio rapido e mortale: le ombre della paura sfidano la solidarietà, obbligando a bassezze e prepotenze per salvarsi dall’agente patogeno.
Il lieto fine non è più così scontato, anzi inquieta proprio in quanto c’è. I due bambini giocano di nuovo al parco, inopinatamente senza prendersi a mazzate, mentre il loro criceto scorrazza allegramente; il miracoloso vaccino contro il nuovo e imprevedibile virus è stato finalmente prodotto e distribuito. Ma sappiamo che si tratta di un equilibrio precario. E che, alle due estremità della corda su cui camminiamo, potrebbe non esserci ormai più alcun appiglio.
Lui chiama, Lei obbedisce. Un rapporto di potere arcaico e attualissimo, un modello patriarcale e familista, espressione secolare del cattolicesimo e del fascismo, diventa finalmente paradigma grazie al destino beffardo che ha assegnato la Direzione Generale della Rai a Lorenza Lei: un pronome, una garanzia.
Fanno sorridere le ansie palingenetiche di chi vede nella diversity un motore della società, nell’ingenua illusione che una donna, piazzata ai vertici dello Stato o di qualche Azienda, possa fare bene e innovare, in virtù semplicemente delle qualità anagrafiche, per le quali non ha alcun merito proprio.
Con femminile efficienza, l’Aufseherin di viale Mazzini è riuscita laddove Masi, il Gil Cagnè del management nostrano, aveva fallito: incurante delle leggi della democrazia e del mercato, ha fatto fuori i pezzi da novanta della televisione pubblica, che garantivano alti ascolti e pluralismo editoriale (“Vieni via con me”, “Annozero”, “Parla con me”), oltre ad aver cacciato il Direttore di Rai 3 Ruffini.
Rimangono così senza voce, e senza il diritto di veder rappresentate le loro idee nella tv (che dovrebbe essere) di tutti, i 9 milioni di telespettatori che seguivano Fazio e Saviano e i 6 che seguivano Santoro. Con un colpo solo, l’evangelica pupilla dei cardinali Bagnasco e Bertone fa un favore politico a B., eliminando le voci scomode (ma confermando la trimurti delle libertà Minzolini-Ferrara-Vespa), e un favore commerciale al Biscione, indebolendosi di fronte alla concorrenza.
I liberali e i democratici a corrente alternata, in questa Penisola che non c’è, dovrebbero inorridire per almeno due ragioni. Dal punto di vista economico, la servetta in tailleur viene pagata coi nostri soldi per distruggere, dal di dentro come un cancro, l’Azienda che dovrebbe guidare. Dal punto di vista democratico, chiudere un giornale, o una trasmissione di grande successo, solo perché sgraditi, diventa un atto autenticamente fascista. Senza libera circolazione delle idee, non c’è vera democrazia.
Ci sono le olgettine, che offrono al capo tette e culi. E c’è chi, volendosi vendere, ma non avendo altro, mette a disposizione il cervello - la coscienza no, quella non a tutti è data. E’ solo un fatto di denominazione, basta mettersi d’accordo: per favore, non chiamiamoli direttori. Sono diversamente escort.
Gara degli incipit 2009, "Dux and the City" si è classificato al terzo posto tra i 12 finalisti selezionati dalla Scuola Holden. Grazie a tutti coloro che hanno votato.
Ci saranno altri modi, se vorrete
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