domenica 25 ottobre 2009

I bastardi di Quentin

Attenzione: contiene anticipazioni sulla trama del film
Era dai tempi di Pulp Fiction che non girava così. Negli ultimi anni, non avevo mai amato davvero il cinema di Tarantino. Come dicono nei reality, non mi arrivava. Non si poteva negargli una certa maestria registica, ma il gioco era quasi sempre eccessivamente compiaciuto, infantile, autoreferenziale, fine a sé stesso.

Fa eccezione questo Inglourious Basterds. Le continue (ec)citazioni del regista si ammucchiano, come sempre, orgiasticamente: Cenerentola e i western di Sergio Leone, i B-movie e Marlene Dietrich, le commedie di Lubitsch e i film di guerra. Ma, senza il manierismo degli ultimi film, le ipnotizzanti tessere visive sembrano ricomporsi in un quadro finalmente coerente, anche dal punto di vista semantico. La ricerca estetica si fa ricerca etica.

Come in un Fahrenheit 451 al contrario, stavolta è il cinema che brucia il regime, il nitrato d’argento delle pellicole sconfigge la violenza hitleriana. La vendetta, tema caro a Tarantino, si consuma sul nazismo con il contributo decisivo di due donne. E l’ultimo fiammifero, quello decisivo, è lanciato con liberatoria consapevolezza dal proiezionista di colore.

Una visionarietà folle, violente e divertente che, per 150 minuti carichi di tensione, ti fa riconciliare con la storia e con la Storia. Giocando con il grande cinema che torna protagonista, bigger than life. E, come sottolinea ironicamente Brad/Quentin alla fine del film, questo potrebbe davvero essere il suo capolavoro.

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