sabato 19 dicembre 2009

Lo scemo del villaggio globale

Li abbiamo sempre osservati distrattamente, con supponenza radical-chic, sulle bancarelle del centro: simil-colossei, riproduzioni del David o della bocca della verità, torridipisa e cupoloni. Non avremmo mai immaginato che uno di quei souvenir innocui, da trastullo per turisti bambacioni, potesse arrivare a modificare il corso della storia che, nella loro stereotipata capacità rappresentativa, cercano di riprodurre.

Invece una miniatura del Duomo colpisce Berlusconi: un’icona kitsch contro un’icona pop. La prima sembra vincere lo scontro sul piano muscolare, la seconda si aggiudica però il match decisivo, quello simbolico: un danno fisico si trasforma in un vantaggio politico. Un oggetto contundente - Frassica direbbe “contro un dente” - nulla può contro il martirio cristologico: dietro il Duomo di Milano, quello vero, in piena atmosfera natalizia, un uomo ferito si mostra alla folla, difensore ultimo della libertà.

Un evento di cronaca diventa improvvisamente fiaba, scritta inconsapevolmente dalla mano di un folle che non aveva letto Ionesco, quando diceva: “La ragione è la follia del più forte”. Il gesto inconsulto di un matto viene immediatamente assorbito e reintepretato, si cercano i mandanti morali e si apre un clima da caccia alle streghe di memoria maccartista. Come nella canzone di De Andrè, lo scemo del villaggio (globale) viene ingoiato da una narrazione più grande di lui.
Del resto, una delle letture sempre citate e raccomandate dal nostro Presidente del Consiglio è stata l’Elogio della follia di Erasmo da Rotterdam, addirittura stampato nel 1990 da Silvio Berlusconi Editore. Tartaglia, un poveraccio criminale del quale tra poco dimenticheremo il nome, ha trovato un folle molto più folle di lui. “Nella vita bisogna avere coraggio e io ho sempre osato l’impossibile”, disse il Cavaliere presentando alle scolaresche l’opera dell’umanista olandese.
Opera nella quale la Follia sfila come uno degli dei, figlia di Plutos e della Freschezza e allevata dall'ignoranza e dall'ubriachezza, i cui fedeli compagni includono Philautia (Vanità), Kolakia (Adulazione), Lethe (Dimenticanza), Misoponia (Accidia), Hedone (Piacere), Anoia (Demenza), Tryphe (Licensiosità), Komos (Intemperanza) ed Eegretos Hypnos (sonno mortale). Impressionante: sembrano gli spiriti che animano il Popolo della Libertà.
Follia e genio spesso si toccano da vicino. Per questo il martire del gesto, violento e vigliacco, può adesso proporsi come il campione dell’amore, che vince sull’odio. Posizionamento vincente, che parla all’Italia semplice con emotiva immediatezza: mi detestano, mi invidiano, guardate cosa mi fanno, a che punto arrivano questi comunisti.
Esistono categorie analitiche raffinate che sono, naturalmente, più efficaci e penetranti nello svelamento dei meccanismi di psicologia sociale sottostanti quel gesto violento, ma parlano purtroppo a un pubblico ristretto. E’ infatti verosimile quanto sostiene Galimberti: Berlusconi, come tutti gli uomini carismatici, è in grado di produrre amore e odio e la personalizzazione esasperata ha fatto il resto. Se, da politico, diventi la rockstar dell’anno (a proposito, portasse sfiga la testata Rolling Stones?), il “No B. Day” è solo l’altra faccia del “Meno male che Silvio c’è”. Il rischio di una forte esposizione simbolica è questo: diventi il catalizzatore di sentimenti, come John Lennon o come Obama, per il quale infatti si è sempre parlato di un forte rischio attentati.
Qui veniamo al punto decisivo sollevato da Travaglio: è lecito odiare? In privato certamente sì, ciascuno di noi ha le proprie idiosincrasie, l’importante è che non si tramutino in reati o in istigazioni a delinquere. Il punto però è un altro: l’odio ha senso nella vita pubblica? Certamente no. Come non ne ha l’amore. L’amore lo chiedono i dittatori. Una democrazia non deve essere governata con i sentimenti, ma con il senso critico dei cittadini che, correttamente informati, giudicano l’operato dei governanti. L’odio e l’amore non c’entrano nulla, servono solo a inquinare la partita.
Queste interpretazioni richiedono un certo grado di riflessività e sono più difficili da far “passare” presso un folto elettorato che ormai ragiona più con la pancia che con la testa, rispecchiandosi nella lettura immediata e semplicistica Amore vs. Odio. In questa visione primitiva, tutto il resto diventa sterile chiacchiericcio tipico di un “culturame” di sinistra, una sinistra “elitaria e parassitaria” che deve andare a “morire ammazzata”, come sottolinea l’amorevole Ministro Brunetta. Il Partito dell’Amore, già coniato da Moana Pozzi, oggi ci viene riproposto dalla Presidenza del Consiglio. Ciascuno ha le sue ispirazioni politiche.
Quel souvenir d’Italie volato domenica scorsa ci ricorda che siamo una democrazia fragile, con un’opinione pubblica poco istruita, facile preda di argomentazioni populiste. Del resto anche le modalità un po’ farsesche dell’aggressione ci ricordano più il comico di Zelig che grida “Attentato!” che non la vicenda di Aldo Moro, impropriamente chiamata in causa in questi giorni. Come ricorda Gramellini, Aldo Moro venne attaccato in quanto rappresentava lo Stato. Berlusconi in quanto rappresenta sé stesso.

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