domenica 16 gennaio 2011

Basta sparare su Scienze della Comunicazione


Confronto acceso tra Rodotà e Gelmini a Ballarò. La spigolosa hostess del PdL, mentre cerca di camuffare il divario            incolmabile (culturale e neuronale) che la separa dal giurista, apostrofa Scienze della Comunicazione come “amenità”.

Rimaniamo il Paese nel quale il rapporto incestuoso tra
attività politica e comunicazione è stato più gravido di terribili conseguenze, tutte effetto di un Parlamento insipiente, di partiti e opinione pubblica anestetizzati, per non aprir bocca sulle cosiddette Authority. La laurea, derisa dal Ministro, nasce proprio come percorso multidisciplinare organico, a seguito delle idee e del lavoro prezioso di molti, tra cui Umberto Eco, per studiare, comprendere e gestire i fenomeni comunicativi.


Evidentemente dalle parti di Arcore vogliono l’esclusiva e dà fastidio che possano esserci in giro persone in grado di decodificare, interpretare e denunciare le paurose distorsioni informative e comunicative messe in atto negli ultimi vent’anni contribuendo, almeno in parte, a spalare le tonnellate di letame depositate dagli sgherri del partito-azienda negli appositi ventilatori.

L’abolizione del numero chiuso, inizialmente previsto, non ha giovato a Scienze della Comunicazione, divenuta in passato fenomeno di iscrizione di massa potendo offrire sbocchi professionali ridotti, anche se qualificati. Pensiamo al giornalismo, alla televisione, alla radio, al cinema, ai nuovi media, per non parlare di istituti di ricerca, agenzie di pubbliche relazioni e soprattutto, delle direzioni relazioni esterne ormai presenti e radicate dentro aziende, organismi pubblici, ong.

Molti miei colleghi, e io stesso, iscritti della prima ora, lavoriamo con soddisfazione da molti anni per il settore nel quale ci siamo specializzati. Nel corso del tempo, la Facoltà ha conosciuto un progressivo degrado dell’immagine – certo paradossale per chi si dovrebbe occupare professionalmente di comunicazione - ed è divenuta, nella percezione di molti, un parcheggio per aspiranti veline. Questo non può bastare a dimenticarne il ruolo e la funzione originari, oggi ancora più importanti, visto il peso determinante della comunicazione nella vita pubblica. Sarebbe come se noi chiedessimo l’abolizione del Ministero dell’Istruzione solo a causa della titolare, fortunatamente pro tempore, del dicastero e delle sue uscite improvvide.

Dovrebbe ricordarselo il cosiddetto Ministro Gelmini, prima di canzonare in diretta un intero corso di laurea, offendendo e mettendo in imbarazzo docenti, studenti ed ex studenti. Oggi la pupilla del premier stigmatizza la “cronica mancanza di formazione scientifica” ma ieri, prima di essere folgorata dalla politica sulla via di Arcore, è umanisticamente andata a ingrossare l’esercito di avvocati che esercitano nel Paese riottoso e leguleio dell’ipertrofia normativa e dei tribunali congestionati. Tra l’altro, per sostenere l’esame di abilitazione, nel 2001 la Mariastella nascente, oggi nume tutelare della meritocrazia accademica contro le baronie, andò di corsa nell’esamificio di Catanzaro che, a proposito di formazione scientifica, poteva contare sul fascino di una rassicurante statistica: il 93% di ammessi agli orali, il triplo rispetto alla natia Brescia (31,7%) del futuro Ministro. La legge non ammette ignoranza, la Gelmini sì.


3 commenti:

mazimba ha detto...

la scuola deve servire alle imprese????
e pagata dai contribuenti e dagli studenti????
aridatece er puzzone, almeno ai tempi di Gentile la scuola doveva servire al Paese

Giulio Lo Iacono ha detto...

Credo che le imprese facciano parte del Paese. Detto questo, il fatto stesso che siamo passati da Gentile alla Gelmini è un termometro impietoso dei tempi che viviamo, dominati dalla mediocrità.

Marco ha detto...

Nel video la Gelmini dice anche che con la riforma hanno puntato sugli istituti tecnici, come? Eliminando ore di laboratorio che fino a qualche anno fa erano il punto forte degli istituti tecnici.
Il tuo articolo e il tuo punto di vista non fanno altro che denotare uno stato di censura sempre maggiore in Italia.