venerdì 15 maggio 2009

Vengo dopo il PD

E’ partito democratico ma non è mai arrivato. Il debutto della principale formazione politica del centrosinistra è stato salutato da un sonoro ceffone elettorale e, soprattutto, in quest’anno di opposizione le fondamenta del Piddì si sono rivelate costruite sulla sabbia.

Le voci di possibili diaspore si moltiplicano: Rutelli e il centro potrebbero trasmigrare verso l’Udc di Casini, la corrente di sinistra potrebbe tornare a raggrumarsi sulle vecchie posizioni. Dal basso, le ansie palingenetiche che aspirano a un credibile ricambio generazionale vengono sistematicamente frustrate: non si vede nessun Obama all’orizzonte, al massimo un Matteo Renzi o una Debora Serracchiani, che si dissolvono in breve come bolle di sapone.

Il PD sembra una di quelle aziende che, a furia di fusioni e acquisizioni, perdono l’identità originaria. Dal 1991 a oggi, abbiamo avuto il piacere di conoscere il Pds, i Ds, partiti popolari, asinelli, ulivi e unioni: una folla di sigle, loghi, slogan e simboli, dietro i quali si nascondono sempre le stesse facce, indipendentemente dalle vittorie e dalle sconfitte. Basti ricordare che lo stesso Veltroni fu già segretario Ds dal 1998 al 2001.

Le responsabilità storiche della classe dirigente di questi anni sono pesantissime. Una su tutte: in sette anni di governo non hanno realizzato nessuna legge antitrust né sul conflitto di interessi, consegnando l’Italia chiavi in mano a Berlusconi. Gli elettori sono disillusi e in molti pensano di astenersi alle prossime europee.

A proposito di europee, dove siederà il PD? Aderirà al Pse, all’Internazionale socialista? Confluirà nel Partito popolare? Nei liberali? O fonderà un gruppo autonomo? Il fatto stesso che ci si possa porre queste domande è sintomatico. Rinunciando fin dalla denominazione a riferirsi alle grandi tradizioni politiche continentali e agganciandosi al pensiero liberal statunitense, estraneo ai più, il PD si colloca con difficoltà: partito senz’anima, troppo a sinistra per i cattolici e troppo cattolico per quelli di sinistra.

I dirigenti democratici sono rimasti vittima del loro stesso Pantheon, del loro eccesso di riferimenti culturali, che li porta ad abbracciare posizioni distanti (la sindrome veltroniana del “ma anche”), con tanti distinguo che ostacolano la comprensibilità dei loro messaggi.

Dovrebbero applicare un po’ di sano marketing: nel “mercato” politico, un corretto posizionamento del “marchio” deve vivere di poche proposizioni, chiare e coerenti, per facilitare gli elettori nella percezione della propria identità. Lo schieramento politico che annovera alcune delle migliori intelligenze e delle creatività più brillanti del Paese deve trovare il suo modo di essere popolare, che non vuol dire populista, cercando di mettere d'accordo Gramsci
e Kotler.

1 commento:

Danx ha detto...

Manca il berlusconico "viva la figa"