sabato 25 aprile 2009

Ci hanno rubato la (parola) libertà

64 anni dopo, la parola libertà fiorisce e subito appassisce sulle bocche di chi non la frequenta, non la esercita e non la riconosce. La libertà diventa una ragione sociale, una sigla, un partito, una bandiera, un’arma retorica.

Quelli che si autocertificano liberi non riconoscono la libertà dell’individuo di decidere il proprio destino, non attuano le liberalizzazioni, non si inchinano di fronte alla libertà di espressione. Sono baciapile, monopolisti e censori, ma nessuno gli contesta la loro incoerenza, il loro opportunismo.

Nessuno li contraddice perchè anche coloro che dovrebbero sorvegliarli si abbeverano alla stessa ciotola. Sono yesman travestiti da liberi pensatori. Belpietro, Giordano, Mimun, Fede, Mulè, Liguori e molti altri: sono stipendiati (indirettamente) dal Capo del Governo. Possiamo pretendere da lorsignori esercizio di senso critico nei confronti di chi li paga profumatamente e li fa crescere professionalmente? La risposta è no.
Non sono liberi, quindi non sono credibili. Punto. Il loro lavoro, più che il mestiere di giornalista, ricorda quello di un addetto stampa. Basta chiarirsi.

L’assenza di regole viene scambiata con la libertà. Ma la libertà senza regole è anarchia. Come il ritorno dà senso al viaggio, che altrimenti sarebbe solo un infinito peregrinare, così le regole riempiono di senso la libertà, offrono la cornice entro cui muoversi. La libertà senza regole, o con regole scritte malamente, si svuota, diventa uno slogan con sfondo azzurrino e jingle di sottofondo. Ci hanno rubato la (parola) libertà. Un furto, per adesso, solo semantico.

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